RAV BRUNO G. POLACCO : LA BIOGRAFIA

Appartenente alla generazione nata dopo la prima guerra mondiale, Rav Bruno Polacco fu personaggio poco conosciuto nel panorama culturale ebraico italiano del Novecento. Schivo e riservato, dotato di un'eccezionale umanità, che lo fece sempre amare da parte dei suoi correligionari, nelle tre comunità ove rivestì la carica di vice-rabbino o di Rabbino Capo, Venezia, Ferrara e Livorno, egli coltivò, con severo impegno scientifico, oltre agli studi talmudici, gli studi storico-filologici, con l'intento di ampliare le nostre conoscenze della storia degli ebrei d'Italia, accumulando una larga messe di saggi e ricerche, che la sua modestia volle spesso lasciare inediti. Fu la sorte, del resto, che, per ragioni simili, toccò anche ai suoi copioni teatrali, scritti per la Compagnia del Circolo Ebraico Veneziano “Cuore e Concordia”, da lui stesso messi talora in scena, e nei quali cercò di ricostruire i più tipici ambienti ebraici, dalla shtetl centro-europea al hatzer veneziano, attraverso l'abilissima creazione di figure tradizionali del mondo ashkenazita o sefardita o mediante la ricostruzione dell'antica parlata del ghetto. Sono tutti testi che meriterebbero di essere conosciuti, per la profondità e il valore della ricerca, nel primo caso, per il sapore di veridicità e l'affidabilità della rievocazione, cui la serietà dello studioso offre le migliori garanzie, nel secondo: opere che qualificano la complessa fisionomia di un intellettuale, impegnato in una pluralità di direzioni, ma che non ha avuto, fino a ora, il giusto riconoscimento che gli spetta.

Bruno Polacco nacque il 23 dicembre 1917 ( 8 teveth 5678) a Cesenatico, dove la famiglia era stata costretta a rifugiarsi in seguito alla prima guerra mondiale. Rimasto orfano di madre ed essendo il padre richiamato alle armi, fu affidato alla zia paterna, che lo allevò come un figlio. La sua educazione e la sua formazione avvennero perciò a Venezia, a contatto, soprattutto, con l'ambiente del ghetto presso San Girolamo, dove le ataviche tradizioni sapevano ancora garantire l'antica solidarietà ebraica.

Dimostrata, fin dagli anni dell'adolescenza, una spiccata propensione per gli studi rabbinici, fu avviato e favorito in tal direzione dall'allora rabbino di Venezia Adolfo Ottolenghi z.l. Furono, per Rav Polacco, anni di fattiva partecipazione alla vita comunitaria, soprattutto nei centri giovanili e presso il Circolo Ebraico Veneziano, una delle istituzioni allora più importanti della Venezia ebraica.

Terminate le scuole superiori, passò al Collegio Rabbinico a Roma, dove, compagno di studi di Augusto Segre z.l., ebbe come docenti Umberto Cassuto z.l. e Dante Lattes z.l. e dove conseguì il titolo di maskil, prima di tornare definitivamente a Venezia, per assumere la carica di hazzan e per aiutare il proprio maestro Ottolenghi, affetto, negli ultimi anni della sua vita, da cecità. Riprese, così, i contatti con il Circolo Ebraico, e, stimolato dalla presenza di una filodrammatica attiva e applaudita, tentò la via del teatro dialettale, scrivendo, nel 1939, Quarant'anni fa, commedia nella quale riuscì a ricostruire, con grande abilità, la vecchia parlata del ghetto veneziano, i cui residui aveva ascoltato, da bambino, dalla bocca degli ultimi utenti della generazione a lui precedente.

Sfuggito alle persecuzioni razziali, riassunse la carica di hazzan e di vice rabbino, prima con Rav Relles z.l., poi con Rav Elio Toaff, che gli fu sincero amico, e si prodigò per la rinascita della Filodrammatica Ebraica Veneziana per la quale produsse alcuni nuovi copioni, rimasti inediti. Dapprima furono semplici canovacci, scritti in occasione della festa di Purim, come Scherzeto de mascare o I boresi del '700; poi il disegno si fece più ambizioso e portò alla stesura di due testi di notevole spessore: Giobbe, di cui è giunto a noi solo il primo atto, e, nel 1950, I due shnorrers, tratto dalla celebre opera di Zangwill.

L'attività teatrale e l'impegno come insegnante nella rinata scuola ebraica non fecero, tuttavia, trascurare gli studi biblici e talmudici. Conseguito, pertanto, il titolo rabbinico (suo maestro, amato e venerato, era intanto divenuto Rav Alfredo S. Toaff, rabbino di Livorno), assunse, nel 1953, la sua prima cattedra come Rabbino Capo a Ferrara, dove, dopo il matrimonio con Nella Fortis, rimase per sette anni, attivo nel risollevare le sorti della comunità che fu di Isacco Lampronti, ma dedicandosi anche a ricerche storiche e archivistiche. Tra i suoi studi, rimasti anche questi inediti, va ricordato un documentato saggio su L'Università degli uomini lusitani di Ferrara e un'ampia analisi su La comunità di Ferrara e il suo Talmud Tora dalle origini a Isacco Lampronti.

Nel 1960, quando il suo maestro Alfredo S. Toaff lo volle con sé, lasciò Ferrara e si trasferì a Livorno, dove, nel 1963, assunse la carica di Rabbino Capo, amato e stimato dai suoi correligionari. Continuò ad affiancare all'attività rabbinica il suo impegno in studi linguistici e filologici, ponendo, tra l'altro, mano a un dizionario della lingua ebraica, del quale restano i lemmi delle prime due lettere, e pubblicò uno studio su Abravanello Giudeo. Numerose le altre opere alle quali stava attendendo, quando la morte lo colse immaturamente all'età di soli cinquanta anni. Era il 29 di nissan 5727.

(Tratto da: Umberto Fortis, Il ghetto in scena, Roma, Carucci, 1989, con tagli)


lunedì 25 dicembre 2017

QUARANT'ANNI FA, commedia in "giudaico-veneziano" di Rav Bruno G. Polacco, zl, a cento anni dalla nascita

Rav Bruno G. Polacco nacque l'8 del mese ebraico di Teveth dell'anno 5678 (23 dicembre 1917) corrispondente nel corrente anno ebraico 5778 al 26 dicembre 2017.Nonostante l'aver visto la luce a Cesenatico, dove la madre era sfollata essendo in corso la

Prima Guerra Mondiale,è Venezia la città sua e della famiglia. Uno stretto rapporto d'affetto che lo ha sempre accompagnato anche nelle due successive città, altrettanto amate (Ferrara e Livorno), nelle quali svolse il proprio mandato rabbinico partito dalla città lagunare.In parallelo con l'attività rabbinica una delle sue grandi passioni fu il teatro, praticato da appassionato attore dilettante e quale scrittore di testi. Uno di questi, fortemente radicato nel mondo ebraico veneziano e nella sua parlata, è QUARANT'ANNI FA che qui viene riproposto con le note curate dal Prof. Umberto Fortis 
(da La Rassegna Mensile di Israel, terza serie, Vol. 38, No. 11/12 ,Novembre-Dicembre 1972,pp. 584-617) 





































martedì 26 settembre 2017

KIPPUR 1955 ( 26 settembre) – 5716, di Rav Bruno G.Polacco. zl

KIPPUR 1955 ( 26 settembre) – 5716

Trascrizione degli appunti manoscritti per il discorso di Rav Bruno G.Polacco,zl,nel Tempio di Ferrara.

Intervento molto sionistico ed esplicitamente invitante all'azione unita alla preghiera, con spunto da un messaggio del Rabbino Capo d'Israele Rav Herzog. Forti riferimenti all'attualità della vita dello Stato d'Israele e al problema degli ebrei nordafricani sottoposti  persecuzioni e pericoli. Se lo stile è tipico dei tempi, il messaggio appare comunque piuttosto concreto.Non tutti i termini in ebraico sono stati riportati.

שלחו מתם

"Hanno mandato a dire di là". Memore di questa concisa espressione che, fin dai lontani tempi in cui – per nostra disgrazia – ebbe inizio la Diaspora ricorre soventemente nel dialogo dei talmudisti a significare che ogni insegnamento proveniente da Erez Israel non solo dev'essere oggetto di attento studio, ma deve assurgere  a norma ispiratrice  e regolatrice della vita del nostro popolo, ritengo indicato nella giornata purificatrice che ci apprestiamo  ad iniziare,leggere e commentare – non tanto nel suo aspetto sionistico che non richiede commento, quanto nel significato etico-religioso che lo permea – il messaggio che in occasione dei "giorni penitenziali" il Rabbino Primate d'Israele, Rav Herzog, ha inviato ai Rabbini e Capi delle Comunità italiane.

(messaggio)

Come ho detto poc'anzi, l'aspetto sionistico del messaggio non richiede commento : è chiarissimo! Lo Stato ebraico, nella terra che Dio ha dato in retaggio ai nostri padri e ai loro discendenti è oggi una realtà meravigliosa e tangibile di cui per volontà dell'Altissimo beneficiamo e che, se vorremo e sapremo conservare si perpetuerà; il paese per eccellenza, unico sicuro ricetto in cui la nostra gente potrà guardare con fiduciosa speranza all'avvenire, fecondato dall'ebraico lavoro tornerà a stillare latte e miele come in antico.

Quello che invece va approfondito è un concetto appena accennato eppure sempre affiorante nelle parole di Rav Herzog – che si riallaccia alla più pura tradizione ebraica  : il concetto della pietà , della misericordia, dell'umana solidarietà che sempre deve ispirare  il pensiero e l'opera dell'uomo ebreo. Rav Herzog, da Rabbino strettamente osservante, nel rivolgersi al Rabbinato e ai preposti amministrativi dell'Ebraismo italiano non poteva limitarsi a parlare dell'ideale nazionale e della ricostruzione materiale di Erz Israel.

Indirizzandosi  a noi, doveva richiamarsi a quel dovere religioso-morale che per prima la Torà insegnò  al mondo e i Rabbini non esitarono a dichiarare il fulcro di essa : l'altruismo.

Infatti narra il Talmud che Illel, il dotto ebreo di origine babilonese dai piedi piatti e dal cranio quadrato,a un gentile che faceva dipendere la propria conversione all'ebraismo dalla possibilità di imparare tutta la Torà nel breve lasso di tempo in cui avrebbe potuto reggersi su di un solo piede,rispose : "Ama per il tuo prossimo ciò che ameresti per te stesso. Questa è tutta la Torà; il resto è commento. Va e studia".

Nel loro pittoresco linguaggio, i talmudisti affermano ( frase in ebraico – ndr) : "ciò che dà sapore a un intero piatto di verdure è un piccolo granellino di pepe forte" e Rav Herzog ricalcando il loro stile linguistico con una frase incastonata nel testo del suo messaggio  dice : " la misericordia è concessa a coloro che sono misericordiosi" come a dire; lo Stato è risorto ,la ricostruzione è in atto , ma se questo sublime precetto d'amore non fosse stato continuamente  e generosamente applicato, lo Stato sarebbe ancora un nostalgico sogno  bi millenario e la resurrezione dell'Ishuv una chimera!

I risultati brillanti ed affascinanti conseguiti fino ad oggi sono si dovuti alla meravigliosa opera dei nostri pionieri, ma – rammentiamocelo sempre – se quest'opera non fosse stata appoggiata dalla vostra solidarietà, l'avverarsi della nostra tenace speranza sarebbe ancora ben lontana .

Attuando il Divino precetto dell'amore per il prossimo siete dunque partecipi – come lo furono ai tempi di Ezra  coloro che rimasero in Babilonia ma aiutarono  i loro fratelli rientrati in Patria – della resurrezione della nostra terra.

Continuate dunque a praticare a profusione questa mizvà (precetto – ndr) sì da poterne godere a vostra volta  i benefici qualora ce ne sia bisogno.

Questo, il concetto da approfondire di cui è pregno tutto il messaggio del Gran Rabbino israeliano.

Ma non è questo il solo elemento degno di nota.

Affiorano anche altri elementi umano-religiosi  che si affiancano al tema principale della dedizione altruistica per il prossimo.

Per brevità ne accenno tre :

-          Il rispetto della dignità umana che non consente – poiché l'uomo è creato in assomiglianza a Dio – di infliggere a chi necessita del nostro aiuto , umiliazione alcuna che degrada la personalità umana  e offende Colui che l'ha creata. Per questo, concezione assolutamente ebraica, l'oblazione è denominata  צדקה "zedakà" , atto di giustizia , doveroso gesto di solidarietà che compie chi è favorito dalla sorte con chi non lo è. Fulgidi esempi di sublime pietà  pullulano nei testi tradizionali. Basti citarne uno,arcinoto, quello dato da Rav Chasdà che per non causare vergogna ai poveri della sua città appendeva dietro alle spalle una borsa piena di monete ed essi liberamente attingevano. Impoveritosi a lungo andare gli fu resa מצוה מצוה כנגד  

Fu trattato con pari rispetto, perché i conoscenti che lo vedevano passare lo richiamavano e porgendogli delle monete gli dicevano che erano cadute dalle sue tasche;

-          Il premio conseguente al gesto compiuto : chi aiuta il prossimo si premunisce dell'immancabile aiuto di cui potrà avere bisogno e si assicura in pari tempo la benedizione dell'Eterno;

-          L'intenzionale ed istretta connessione del messaggio e del suo contenuto con le ricorrenze che cadono nel mese di Tishrì- chiamato anche "Yerach ha- Etanim " (ndr- periodo dei Saldi, dei Patriarchi) poichè in esso hanno avuto i natali i 3 Patriarchi che si distinsero per la pietà che ispirò la loro vita- e in particolare Rosh ha-shanà e Chipur , le giornate cioè in cui eleviamo fervide le preghiere penitenziali al Padrone dell'Universo per implorare la remissione delle nostre colpe.Non a caso Rav Herzog ha scelto questo periodo di intensa attività spirituale e di interiore travaglio per invocare col suo appello  la nostra fraterna solidarietà.

Lo Stato israeliano ha bisogno di essere sostenuto  e potenziato nell'opera di ricostruzione e di difesa dai nemici che lo attorniano, un nuovo grande problema , di ora in ora,diventa tragicamente pressante : 40.000 ebrei nordafricani devono essere portati in salvo prima che gran parte di essi subisca ulteriori persecuzioni e il numero già forte delle vittime aumenti.

Tre sono i mezzi che insieme concorrono ad assicurare il perdono : la "teshuvà", il pentimento ; la "tefillà",la preghiera; la "zedakà", la beneficenza e con le parole del suo messaggio egli suggerisce di accompagnare al pentimento e alle preghiere di queste impegnative giornate cospicue elargizioni che creino meriti valevoli ad ottenere l'invocato perdono.

Ascoltate signori questa voce autorevole che viene dalla terra avita e rammentando che anche voi in tempi non lontani siete stati costretti a vagare in cerca di un rifugio e a dover ricorrere all'aiuto altrui,elevate a norma abituale l'adempimento del precetto di amare per il prossimo ciò che amereste per voi stessi, perché alla fine del digiuno che abbiamo iniziato alta risuoni la voce profetica che annuncia in nome dell'Eterno il perdono ad Israele :

הבן יקיר לי אפרים אם ילד שעשעים כי מדי דברי בו זכר אזכרנו עוד על כן המו מעי לו רחם א‍רחמנו נאם יהוה

"Efraim è per me un caro figlioletto; un bimbo delizioso; fin da quando parlai con lui l'ho sempre nel cuore;per lui si commuovono le mie viscere : del tutto lo racconsolerò, dice l'Eterno, amèn!"


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martedì 19 settembre 2017

ROSH HA-SHANA' (Capodanno Ebraico) 5727-1966 : bozza del discorso per la ricorrenza di Rav Bruno G. Polacco,zl

Bozza del testo usato per il discorso di Rosh Ha-shanà 5727 (1966), tenuto quindi nel Tempio di Livorno. Non è stata trovata una "bella copia" o "versione definitiva" che dir si voglia e forse questa è l'unica versione,definita poi a voce, del testo. Una testimonianza in originale di come si preparavano,in tempi nei quali i computer non consentivano facili correzioni e variazioni, gli interventi.

lunedì 14 agosto 2017

"LA LEGGENDA DEL KADDISH" e "DEL SCEMAGN", autore Aldo Polacco,zl


Tra le carte di Rav Bruno G. Polacco,zl,vi sono questi due scritti, a firma Aldo Polacco,zl. Al momento , sperando di saperne qualcosa di più dopo qualche ricerca,non è dato sapere chi fosse e cosa facesse. Questi testi,lasciati in copia come sono stati scritti,costituiscono comunque  uno spaccato del tempo e del linguaggio,anche nella terminologia ebraica,tradizionale dell'ebraismo italiano. Nella loro semplicità e nel sentimento che emanano non sono affatto banali e denotano una certa preparazione ebraica. La data del secondo scritto ci riporta al 1929 : il riferimento al Maestro di "qualche anno fa quando ero un ragazzo" potrebbe,ipotesi non confortata da alcun riscontro oggettivo,condurre a Rav Moisè Coen Porto, כהן פורטו, משה בן מנדולין, che il sito www.rabbini.it ci dice essere nato "a Venezia il 24.06.1834. Riceve il titolo rabbinico "Semikhà" al Collegio Rabbinico di Padova nel 1855. Diviene Rabbino di Venezia dal 1876 al 1918. Muore a Mantova, 9.12.1918"